BLOCKCHAIN, un ulteriore garanzia per i consumatori e non solo…

La tracciabilità alimentare grazie alla blockchain puo’ essere una realtà

Un cellulare, un’applicazione, un etichetta alimentare e il gioco è fatto… Di quell’alimento possiamo conoscere in tempo reale tutta la sua storia: da dove nasce, dove è stato prodotto, confezionato e entro quando deve essere consumato. La tecnologia entra a pieno titolo nel settore food, non solo in termini di innovazione di prodotto o di processo, ma in termini di informazione al consumatore. E’ il caso della Blockchain, ultima frontiera dell’industria alimentare 4.0. Se la Blockchain è stata un esclusiva del mondo della finanza,  oggi sta trasformando anche il settore del food e dell’agroalimentare in particolare. Le malattie dovute a contaminazioni microbiche sono ancora un serio problema per la salute pubblica. Secondo le stime globali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, ogni anno 60 milioni di persone si ammalano a livello mondiale a causa di cibi non idonei agli standard qualitativi. Molte delle problematiche e delle cause di tali malattie che incidono  con un peso notevole sulla sicurezza alimentare si basano sulla mancanza di accesso alle informazioni di tracciabilità alimentare. La blockchain promette di essere la soluzione. Un articolo di qualche giorno fa pubblicato dal giornale britannico TheGuardian riportava una esperienza legata alla applicazione della Blockchain nella filiera del food e in particolare nella filiera del pesce. L’articolo metteva in evidenza  che l’industria del pesce è purtroppo attraversata da fenomeni di illegalità sia a livello di pesca illegale sia per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani. E’ molto difficile  nel settore ittico garantire ai produttori, ai rivenditori e ai consumatori  qualità e affidabilità di tutti i passaggi, questo perchè la filiera presenta molti lati “oscuri”. E’ necessario, dunque, stabilire una situazione di fiducia e trasparenza che possa dare garanzie a tutti gli attori della filiera in merito alla qualità del lavoro svolto e al rispetto delle regole e dei diritti di tutte le imprese e di tutti coloro che direttamente e indirettamente lavorano in questo settore. La tecnologia della blockchain si può estendere a tutti i settori dell’impresa alimentare. Purtroppo, però, anche se le aziende del Food & Beverage percepiscono l’importanza delle nuove tecnologie digitali per la sicurezza alimentare,  non hanno ancora compreso del tutto come applicare soluzioni come la blockchain. Interessante a tal proposito è una indagine, condotta da DNV GL e GFSI, che ha coinvolto oltre 1.600 professionisti del settore in tutto il mondo. I risultati sono stati sorprendenti, soltanto 1 azienda su 10 utilizza già oggi le nuove tecnologie per garantire la sicurezza alimentare e la cosa lascia molto pensare. Tra le tecnologie digitali di ultima generazione, le più diffuse risultano essere sensori e beacon (44% oggi, 56% fra tre anni) seguiti dalla blockchain (15% oggi, 40% fra tre anni). La limitata chiarezza sul tema, tuttavia, si ripercuote sulle decisioni d’investimento: più di un quarto delle aziende intervistate dichiara di non sapere quanto investirà in soluzioni digitali nei prossimi 12-18 mesi, mentre il 14% risponde che non effettuerà alcun investimento. A intuire il valore della blockchain sono soprattutto le aziende asiatiche, il 57% delle quali prevede di utilizzare questa tecnologia entro tre anni, una percentuale significativamente più alta che nelle altre regioni. Tra gli altri temi emersi dall’indagine, si segnala che le principali motivazioni che spingono a implementare la sicurezza alimentare sono la salvaguardia della salute dei consumatori (88%), seguita da leggi e normative (69%) e dalle esigenze/richieste dei consumatori (60%). I benefici commerciali ottengono invece un punteggio più basso (30%), a suggerire che la sicurezza alimentare sia percepita più come un prerequisito che come un differenziale competitivo. I rischi operativi (76%), come le contaminazioni, sono percepiti come la minaccia più evidente, seguiti dai rischi associati alla mancanza di una cultura della sicurezza alimentare (30%) e alla conformità con le normative (28%). I timori per i rischi operativi sono particolarmente sentiti in Europa (82%) rispetto alle altre regioni. Una netta maggioranza di aziende vede la certificazione come un requisito per fare business (79%) mentre, più di metà (53%) la vede anche come un modo per migliorare ulteriormente la sicurezza alimentare.


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