Estrazione con fluidi supercritici (SFE) e separazione cromatografica con fluidi supercritici applicate ai settori agroforestali e agroalimentari

Estrazione con fluidi supercritici (SFE) e separazione cromatografica con fluidi supercritici applicate ai settori agroforestale e agroalimentare
Antonio Paolillo

Abstract: Il seguente lavoro intende mettere in evidenza un tipo di tecnica di estrazione, quale quella con l’impiego di fluidi supercritici (SFE), che negli ultimi tempi sta trovando sempre più impiego e sta dimostrando molti vantaggi. L’estrazione supercritica trova interessanti applicazioni nell’industria alimentare, per esempio nelle operazioni di rimozione della caffeina oppure nell’estrazione di aromi e oli essenziali dalle spezie o da agrumi. Di seguito verranno affrontate le tecniche di estrazione con SFE e SC con fluidi super critici applicate nel settore agroalimentare.

Keyword: estrazione, SFE, SC, caffeina, caffè

Per estrazione in chimica si intende la separazione di una o più sostanze da una matrice mediante trattamento con solvente. La separazione dei singoli componenti dalle loro miscele o da soluzioni liquide costituisce un’operazione importante per svariate attività industriali, anche in quelle agroalimentari. Queste operazioni di separazione si contrappongono alla tendenza delle sostanze a mescolarsi intimamente e spontaneamente tra loro che, come è noto, costituisce una tipica manifestazione del secondo principio della termodinamica. La separazione dei componenti presenti in una soluzione omogenea richiede pertanto l’impiego di energia e si può perseguire operando in diversi modi. Il più semplice è quello di fornire calore alla soluzione per evaporarne una parte che contiene preferenzialmente i componenti più volatili. Alternativamente si può raffreddare la soluzione per separare un componente sotto forma di solido, oppure farla fluire attraverso una membrana che permetta il deflusso in modo preferenziale di uno dei componenti. Esistono vari tipi di estrazione:
• liquido-liquido;
• liquido-solido;
• estrazione in corrente di vapore;
• estrazione con fluidi supercritici.
L’estrazione condotta con fluidi in condizioni supercritiche costituisce un’alternativa rispetto ai sistemi classici di separazione, quali la distillazione frazionata, l’estrazione in corrente di vapore, l’estrazione con solventi o il desorbimento termico. La SFE (supercritical fluids extraction) può essere applicata a sistemi su scala diversa: da quella da laboratorio, analitica (da poche centinaia di milligrammi a pochi grammi di campione) o preparativa (qualche centinaio di grammi di campione), alla scala pilota (quantità di matrice nell’ordine dei chilogrammi) fino a scale industriali che trattano tonnellate di materiale grezzo (come nel caso della decaffeinizzazione del caffè).
Può sostituire molti processi tradizionali di estrazione da matrici vegetali per l’ottenimento di estratti secchi o di oli essenziali con determinate caratteristiche. L’estrazione di sostanze da miscele complesse, in particolare, può essere resa altamente selettiva modificando adeguatamente le condizioni di pressione e temperatura a cui si opera, per adattarle alla solubilità dei di versi componenti di specifico interesse. Un esempio ne è la deterpenazione degli oli essenziali di agrumi e altre piante officinali, attraverso la quale si ottiene una miscela di composti aromatici stabili alla luce e alla temperatura (i monoterpeni generalmente non lo sono e contribuiscono a volte in maniera irrilevante al profumo).
Sulla base di tali premesse, l’estrazione con fluidi supercritici si è progressivamente imposta come una delle tecnologie elettive per trattare, con vari obiettivi, materie prime di interesse alimentare, farmaceutico e cosmetico (estrazione dei principi attivi e dei componenti delle erbe officinali). Benché in teoria siano molti i fluidi supercritici impiegabili a questo scopo, l’anidride carbonica (CO2) è la più idonea. La CO2 è infatti, priva di tossicità, inerte, non infiammabile, poco costosa, riciclabile e quindi priva di impatto sull’ambiente. L’estrazione con CO2 è una tecnologia moderna di estrazione di componenti vegetali lipofili realizzata secondo un procedimento estremamente rispettoso e senza rilascio di residui di sostanze solventi. Dopo l’estrazione la pressione di esercizio viene abbassata e la CO2 perde così la sua forza solvente rilasciando le sostanze solute, che risultano disponibili allo stato puro e in forma concentrata. Per questi motivi anche la FDA ha conferito al procedimento l’attributo GRAS (GRAS = generelly recognized as safe/ generalmente riconosciuto come innocuo). Le sostanze naturali, inoltre, sono spesso poco stabili a temperature elevate, e richiedono quindi di essere mantenute e trattate a temperature vicine a quella ambiente: la CO2 ha una temperatura critica di 31 °C, che la rende particolarmente adatta come solvente per le sostanze di origine biologica. Le proteine, i carboidrati, i sali inorganici o i metalli non vengono in alcun modo coestratti. Gli estratti con CO2 sono microbiologicamente stabili, non necessitano di conservazione e sono per natura praticamente sterili. A differenza dei procedimenti convenzionali, la selettività dell’estrazione è mirata. Il metodo non comporta stress termico e non richiede l’impiego di solventi organici.

Fluidi supercritici
E’ difficile immaginare come definire la fase che esiste a temperature e pressioni superiori al punto critico, in quanto al punto critico le fasi liquida e gassosa diventano indistinguibili. Ad esempio, questa fase possiede l’elevata densità di un liquido ma la bassa viscosità di un gas. Un termine che sta trovando largo uso nei processi di estrazione è fluido supercritico (SCF). Sopra la temperatura critica nessun aumento di pressione può liquefare il liquido. Considerando il generico diagramma delle fasi in figura 1 il percorso dei punti parte con un vapore sotto alla temperatura critica e ci porta ad un gas a bassa densità sopra l’isoterma. Quando la pressione viene molto aumentata si produce un fluido supercritico di densità molto maggiore.


Fig. 1 PUNTO CRITICO E ISOTERMA CRITICA
Comprimere un gas a temperature inferiori alla temperature critica provoca la trasformazione a liquido, con la comparsa di un menisco, come cambiamento di fase discontinuo.
Comprimendo sopra l’isoterma critica si aumenta solo la densità del fluido supercritico. Nel percorso indicato dalle frecce il gas passa a liquido senza mostrare una variazione di fase discontinua.

Se, quando la pressione supera quella critica, Pc, la temperatura viene ridotta sotto l’isoterma critica, otteniamo un liquido. Anche con un ulteriore diminuzione della pressione il campione rimane liquido. Nel compiere questo percorso siamo passati da gas a liquido senza osservare l’interfaccia liquido vapore. Il solo modo di osservarla è di intersecare il confine della fase sotto l’isoterma critica. Si noti che in questo caso possiamo osservare l’interfaccia liquido-vapore diminuendo la pressione sul liquido fino ad un punto della curva di tensione di vapore.
Anche se normalmente non immaginiamo che i solidi e i liquidi possano essere solubili nei gas, le sostanze volatili lo sono. La solubilità espressa in frazione molare rappresenta semplicemente il rapporto della tensione di vapore ( o della pressione di sublimazione) rispetto alla pressione totale dei gas. I liquidi e i solidi aumentano la loro solubilità in un gas a temperatura e pressioni superiori a quelle del suo punto critico. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che la densità del SCF è elevata e si avvicina a quella di un liquido. Nei fluidi supercritici le molecole, trovandosi molto più vicine che in un gas normale, possono esercitare intense forze di attrazione sulle molecole di un liquido o di un solido. I fluidi supercritici presentano caratteristiche solventi simili ai solventi liquidi normali. Variare la pressione di un SCF significa variare la sua densità e quindi le sue proprietà. Così un SCF come il biossido di carbonio, può essere portato a comportarsi come molti comuni solventi ed è divenuta la molecola comunemente impiegata nei processi di estrazione in fase supercritica per una serie di motivi sopra elencati. Nella figura 2 è illustrato il diagramma pressione-temperatura dell’anidride carbonica.
Fino a poco tempo fa il principale metodo per decaffeinare il caffè consisteva nell’estrarre la caffeina con un solvente quale il cloruro di metile (CH2Cl2). Questo solvente non è consigliabile in quanto è pericoloso durante la lavorazione e difficile da allontanare completamente dal caffè. Attualmente si ricorre all’uso di CO2 supercritica. In questo processo i grani di caffè verdi vengono messi a contatto con CO2 a 90°C e 160-220 atm. Il contenuto di caffeina scende dal suo valore noemale 1-3% a circa 0.02%. abbassando la temperatura e la pressione di CO2, la caffeina precipita e CO2 si ricicla.

Fig. 2 DIAGRAMMA PRESSIONE- TEMPERATURA DELL’ANIDRIDE CARBONICA.
Punto triplo: Pt=0.52 Mpa, Tt=261.5 °K;
Punto critico: Pc= 7.38 Mpa, Tc= 304.1°K

CROMATOGRAFIA SUPERCRITICA (SFC)

La gascromatografia (GC) venne inventata da APJ Martin il quale, assieme a RLM Synge, in un lavoro scientifico pubblicato nel 1941, suggerì che il liquido della fase mobile, usato in cromatografia liquida, potesse essere sostituito da un opportuno gas (Martin e Synge, 1941). Il concetto su cui si basava questa intuizione era che, essendo la diffusività di un soluto in un gas molto maggiore che in un liquido, i processi di equilibrio di ripartizione tra due fasi sarebbero stati molto più veloci, le colonne molto più efficienti e i tempi per la separazione cromatografica molto più brevi.

La GC fig. 3 è una tecnica di frazionamento largamente impiegata nel campo dell’analisi alimentare. Esistono vari tipi di cromatografia, ma tutti sostanzialmente sfruttano la capacità di un solido poroso (fase stazionaria) di legarsi in maniera selettiva ai composti da separare trasportati da un fluido con cui viene a contatto (fase mobile). Tale fenomeno è chiamato adsorbimento.
La cromatografia di eluizione supercritica è utilizzata in particolar modo per il frazionamento di miscele di di-esteri di peso molecolare molto simile.

Fig. 3 Rappresentazione schematica di un sistema gas-cromatografico.

La differenza sostanziale tra la cromatografia di eluizione tradizionale e quella supercritica sta nel fatto che, mentre nella prima la fase mobile (eluente) è costituita da un gas (gascromatografia) o da un solvente liquido (cromatografia liquida), nella seconda la fase mobile è costituita da un fluido supercritico. In Figura 3 è schematizzato, un sistema cromatografico. La miscela da separare, viene iniettata inizialmente in colonna e si adsorbe omogeneamente sul primo tratto della fase stazionaria. Successivamente si fa fluire l’eluente, che nella SFC (supercritical fluid chromatography) contribuisce attivamente alla separazione delle sostanze che compongono la miscela. Nel caso del sistema SC CO2-olio, per esempio, alle condizioni di temperatura e pressione operative, il solvente si scioglie nella massa d’olio rigonfiandola e dà origine ad un sistema bifasico, in cui una fase, ricca in CO2, è in stato supercritico mentre l’altra, ricca in olio, è liquida. Il flusso dell’eluente perturba lo stato di equilibrio e ingenera gradienti di concentrazione tra fase liquida, fase supercritica e fase solida, per cui si instaurano degli scambi di materia che tendono a riportare il sistema all’equilibrio. In particolare si individua un flusso tra la fase supercritica e la fase liquida che, in intimo contatto, si muovono in equicorrente lungo i canalicoli.
Il moto del fluido provoca inoltre, un gradiente di concentrazione tra le due fasi fluide e il solido adsorbente per cui le specie chimiche migrano nei pori all’interno della particella. Lo scambio di materia è ostacolato da un film che avvolge la particella stessa (secondo sottosistema) e dalla necessità di diffondere nei pori intraparticellari. Qui si originano dei gradienti di concentrazione (terzo sottosistema) e quindi dei flussi di materia in parte di tipo diffusivo e in parte causati dall’adsorbimento e disadsorbimento sui siti attivi del solido. Il sistema così descritto opera in regime dinamico: industrialmente il processo di cromatografia considerato è condotto in discontinuo e quindi richiede l’alternarsi di più cicli di caricamento ed eluizione. Questo è sicuramente un aspetto negativo della tecnica, anche se di solito, in campo farmaceutico, le quantità prodotte sono relativamente piccole e quindi ci si preoccupa di più della riproducibilità del prodotto, anche a scapito di una produzione continua. La separazione dipende da due fenomeni, l’interazione miscela-solido e la dissoluzione della matrice di lavorazione, come per esempio olio, in CO2. Grazie ad essi e all’azione di trasporto della CO2, ogni estere che compone la carica di partenza si sposta lungo la fase stazionaria con velocità tanto maggiore quanto minore è la sua affinità con il solido e quanto maggiore è la sua solubilità nell’eluente supercritico. In linea teorica, con un’unica colonna cromatografica, si può pensare di separare completamente tutti i componenti, purché essa sia sufficientemente lunga e la velocità dell’eluente sufficientemente piccola. È necessario dunque, studiare ogni specifico processo cromatografico al fine ottenere il valore ottimale della temperatura e pressione di esercizio, dell’altezza del letto, della massa di matrice caricata e della portata di eluente. Quando si utilizza questa tecnica con lo scopo di analizzare in modo preciso e completo un campione, si lavora con quantità molto piccole e diluite: in questo caso si parla di cromatografia analitica. Quando invece si intende separare quantità dell’ordine dei grammi di sostanza allora si parla di cromatografia preparativa. I problemi che si incontrano in questo caso sono legati soprattutto alla ricerca di un compromesso tra purezza e resa di ottenimento del composto di interesse, e la quantità di miscela trattata per ciclo di eluizione. S, infatti, si intende massimizzare la resa si deve accettare una penalizzazione nella purezza del prodotto e viceversa. Dal diametro della colonna cromatografia dipende la quantità massima di miscela trattabile per ciclo di eluizione, mentre dall’altezza della fase stazionaria dipende l’efficienza della colonna, intesa come capacità di realizzare il frazionamento. La SFC presenta, rispetto alla cromatografia classica, ulteriori aspetti interessanti che la rendono vantaggiosa per le applicazioni di tipo farmaceutico e alimentare. Questi sono legati al tipo di eluente utilizzato e sono gli stessi che caratterizzano anche la SFE: non tossicità ed economicità della CO2, coefficienti di diffusione e viscosità simili a quelli di un gas, semplicità nel recupero del prodotto mediante depressurizzazione della frazione raccolta e soprattutto possibilità di modulare il potere solvente della fase supercritica agendo su variabili facilmente controllabili come la pressione e la temperatura. Sono stati pubblicati nella letteratura aperta soltanto trenta articoli che riguardano la SFC preparativa. Tuttavia un maggior numero di applicazioni sono state sviluppate nell’industria privata ma non sono state rese note (Shaimi et al. 1998). Un esempio applicativo della SFC preparativa riguarda la separazione di esteri di PUFA. La purezza di DHA raggiunta è pari a 89.8%, con una resa del 51%.

Conclusioni
Una tecnica di particolare interesse che si è affermata più di recente è l’estrazione con fluidi supercritici, basata su un sistema estrattivo particolare. Un composto chimico si trova nello stato di fluido supercritico quando è soggetto a una temperatura e a una pressione superiori a due rispettivi valori caratteristici, detti appunto critici. Al di sopra della temperatura critica, un composto puro non può essere liquefatto per compressione, qualunque sia la pressione applicata. Un fluido supercritico ha proprietà intermedie tra quelle dello stato liquido e quello gassoso, poiché possiede le caratteristiche solventi dei liquidi e quelle di trasporto dei gas. Esso può quindi essere descritto come un liquido con bassa viscosità. Ciò permette di ottenere velocità ed efficienze di estrazione molto migliori di quelle che si ottengono nei processi convenzionali. Inoltre le condizioni di estrazione possono essere variate in modo tale da ottenere delle separazioni ben controllate. Il processo si basa essenzialmente sul fatto che la solubilità di un solvente varia con la pressione e la temperatura. In generale la solubilità di una sostanza condensata in un gas è correlata alla sua tensione di vapore ed è generalmente trascurabile, ma in un solvente supercritico le solubilità possono superare di dieci ordini di grandezza quelle che si prevedono applicando la legge dei gas ideali.
L’estrazione supercritica non ha ancora trovato ampio impiego nell’industria, ma sta diventando sempre più attraente per le elevate purezze che consente di raggiungere, oltre che per ragioni ambientali (non fa uso di solventi tossici). Inoltre essa permette di realizzare separazioni che risultano difficili con processi convenzionali e opera a temperature generalmente basse senza perciò far sorgere problemi di decomposizione di eventuali composti termolabili. Gli svantaggi dell’estrazione supercritica si riscontrano nella necessità di operare a pressione elevata, nelle complesse operazioni di riciclaggio richieste per ridurre i costi energetici associati alla compressione del solvente e nei costi di investimento relativamente elevati per le apparecchiature.

L’anidride carbonica è il solvente più comune, soprattutto perché i suoi parametri critici sono piuttosto bassi (31,1 °C e 73,8 atm). Inoltre è economica e atossica. I solventi organici, di impiego piuttosto largo in petrolchimica, sono esplosivi, per cui il costo delle apparecchiature richieste è molto elevato. I clorofluorocarburi avrebbero eccellenti proprietà come solventi supercritici, ma il loro impiego è limitato dagli effetti che esercitano sull’ozonosfera.

L’estrazione supercritica trova interessanti applicazioni nell’industria alimentare, per esempio nelle operazioni di rimozione della caffeina oppure nell’estrazione di aromi e oli essenziali dalle spezie, nell’industria farmaceutica per l’ottenimento di principi attivi dalle piante evitando l’azione potenzialmente distruttiva del calore e la presenza di solvente residuo nel prodotto. Nell’industria petrolchimica l’impiego più comune dell’estrazione supercritica si riscontra nel trattamento del residuo di estrazione del grezzo.

BIBLIGRAFIA
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Supercritical Fluid Extraction of Evening Primrose Oil Kinetic and Mass Transfer Effects
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SITOLOGIA
http://www.separeco.it/index.php?option=com_content&view=article&id=58&Itemid=163&lang=it
http://www.galenotech.org/tecniche_est.htm
http://www.biochemj.org/content/35/12/1358


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