Leggo con molto interesse sulle pagine dei quotidiani locali la convenzione siglata tra i Carabinieri Forestali e il Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria in merito alla coltivazione di canapa ai fini industriali.
Sono noti ormai i benefici che la pianta può apportare all’organismo umano, non di meno i benefici relativi all’utilizzo della stessa per alcune patologie neuro degenerative.
Anche il settore alimentare può essere sicuramente “terreno fertile” per l’utilizzo della Cannabis e il Dipartimento di Agraria ben si presta ad essere “certificatore e garante” della vera percentuale di principio attivo contenuto nelle piante.
L’Italia negli anni Trenta, e il Meridione in particolare, era il secondo Paese nel mondo per produzione di canapa a uso tessile, poi soppiantata da altre fibre, più economiche e più facili da ottenere. Purtroppo, però, il suo disimpiego in agricoltura è stato caratterizzato dall’utilizzo che se ne faceva a scopi illegali come stupefacente, impiego che è dovuto alla presenza, in particolare nelle infiorescenze, del principio attivo tetraidrocannabinolo (Thc).
Oggi grazie alla Legge 242 del 2016 “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” pubblicata in GU n.304 del 30.12.2016, gli imprenditori agricoli hanno la possibilità di poter coltivare sui loro terreni la Cannabis Stiva L. quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli della desertificazione e alla perdita di biodiversita’, nonche’ come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione […] e alla produzione di alimenti […] per le industrie di diversi settori. Anche se l’impiego dei semi di canapa negli alimenti era già stato autorizzato da una circolare del Ministero della Salute del 2009.
Questo sarà possibile esclusivamente se l’utilizzo dei semi certificati, producono varietà di piante con tenore di Thc inferiore a 0,2%, con una tollerabilità che non superi i valori dello 0,6%, perché la concentrazione di principi attivi dipende anche dalle caratteristiche del suolo e dalle condizioni climatiche (nelle varietà con effetti psicoattivi il Thc varia dal 7 al 27% evitando di incappare nel reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990) e il Dipartimento di Agraria ben si presta grazie ai suoi laboratori e al personale docente altamente specializzato a determinare tali soglie ammissibili per l’impiego in agricoltura.
Non manca ovviamente l’interesse dell’impiego della pianta rivolto al settore alimentare, molti colleghi Tecnologi Alimentari, in Italia si sono già cementati in studi ed applicazioni valide nel settore food tant’è che oggi è possibile ritrovare sugli scaffali dei nostri supermercati prodotti quali pasta prodotta con il 20% di farina di canapa; pesto di canapa; olio di semi di canapa; dessert a al cacao e canapa; succo di canapa; spremuta di frutta con canapa e cannella dove l’estratto di semi si ferma allo 0,05%.
Ciò che caratterizza l’utilizzo dei semi di canapa in agricoltura, non è solo relegato alla loro sostenibilità sotto gli aspetti ambientali, ma interessante è ciò che li caratterizza rispetto ad altri semi impiegati nel settore alimentare. Infatti i semi di canapa sono particolarmente ricchi di acidi grassi polinsaturi essenziali, i noti omega-6 e omega-3, che nell’olio di canapa sono presenti in rapporto ottimale, come accade in pochi altri alimenti. Auspicabile a tal proposito l’utilizzo di olio non solo come condimento ma anche come integratore alimentare. La farina, invece, risulta essere particolarmente ricca di proteine con un elevato valore biologico, con tutti gli aminoacidi essenziali. Il seme di canapa contiene anche numerose vitamine, fra cui la Vit. E e le vitamine del gruppo B.
Sono certo che l’Ateneo reggino sia in grado di sviluppare questo settore ben intercettando i finanziamenti del PNRR anche se la Legge(nel settore alimentare), sotto certi versi, resta ancora molto pletorica e confusa ma va da sé che le nostre realtà intellettuali e alimentari non smettono mai di essere “stupefacenti”.